Truffe su WhatsApp, Facebook e Instagram: quali sono le più diffuse e come riconoscerle

Le piattaforme social e di messaggistica sono diventate strumenti centrali nella diffusione delle truffe online in Italia.

Secondo un report di Revolut, il 54% delle truffe globali originate online ha come origine servizi del gruppo Meta.

Facebook guida la classifica con il 28%, seguito da WhatsApp con il 21%, Instagram con il 7% e Telegram con il 18%.

A livello nazionale, come fa sapere quifinanza, il fenomeno ha registrato una crescita costante.

Il report annuale della Polizia Postale e per la Sicurezza Cibernetica segnala che nel 2024 sono stati trattati 18.714 casi di truffe informatiche, con un incremento del 15% rispetto all’anno precedente.

Le somme sottratte sono aumentate del 32%, passando da 137 a 181 milioni di euro.

Una delle truffe più diffuse su WhatsApp è quella del “finto figlio“.

Il meccanismo è semplice ma nonostante tutto in grado di colpire senza remore.

Un messaggio arriva da un numero sconosciuto, in cui il truffatore si finge il figlio della vittima, spiegando di aver cambiato numero a causa di un problema tecnico.

Il messaggio tipico è: “Ciao mamma, ho cambiato operatore, questo è il mio nuovo numero. Puoi salvarlo?”.

Avviata la conversazione, il criminale simula un’emergenza e chiede un bonifico urgente, spesso utilizzando un tono affettuoso e convincente. La richiesta viene giustificata da problemi tecnici o impossibilità a utilizzare il proprio conto.

Il bonifico viene indirizzato a un presunto amico o intermediario che in realtà è un complice.

Il sistema si avvale di tecniche di social engineering e che porta a creare un senso di urgenza e fiducia nella vittima.

Viene spesso richiesto un bonifico istantaneo, che, una volta effettuato, non può essere annullato.

I criminali si avvalgono anche di numeri reali già presenti su WhatsApp, recuperati da precedenti fughe di dati o tramite phishing.

Il fenomeno è così diffuso che la Polizia Postale ha segnalato un incremento del 25% nelle frodi via app di messaggistica.

Alcuni casi recenti riportano perdite fino a 5.000 euro, con vittime prevalentemente tra la popolazione anziana.

Gli esperti avvertono che la prossima evoluzione di queste truffe potrebbe coinvolgere l’uso dell’intelligenza artificiale per simulare voci e accentuare la veridicità delle conversazioni vocali.

Facebook Marketplace è uno dei luoghi digitali dove si concentra il maggior numero di truffe.

L’ambiente peer-to-peer e l’assenza di mediazione tra venditore e acquirente rendono difficile distinguere offerte reali da quelle fraudolente. Gli annunci falsi sono spesso ben confezionati, con immagini autentiche prese da siti ufficiali o altre inserzioni.

Una delle truffe più comuni è la vendita di prodotti tecnologici a prezzi inferiori al mercato, come PlayStation 5, smartphone o schede grafiche.

Una volta effettuato il pagamento, l’oggetto non viene mai consegnato. In altri casi, l’acquirente riceve un prodotto differente da quello acquistato, o di qualità nettamente inferiore.

Tra le tecniche più diffuse si segnalano la richiesta di pagamento tramite metodi non tracciabili come ricariche Postepay o bonifici su conti intestati a prestanome.

Alcuni truffatori si fingono addetti di aziende note, come è accaduto nel caso Arval, utilizzando loghi ufficiali e pagine social contraffatte per proporre la vendita di veicoli.

Anche gli affitti sono un settore ad alto rischio.

Annunci di appartamenti con foto accattivanti vengono pubblicati da finti proprietari che chiedono un acconto per bloccare la visita, per poi sparire.

Le truffe includono anche phishing in cui si induce la vittima a cliccare su link fraudolenti per sottrarre dati sensibili o accedere ai conti bancari.

Instagram è diventato un terreno fertile per le truffe che si presentano sotto forma di collaborazioni commerciali.

Alcuni utenti ricevono messaggi da presunti brand o recruiter che propongono una partnership in cambio dell’acquisto iniziale di prodotti.

La dinamica è semplice: viene richiesto di acquistare un articolo per poi riceverne altri gratuitamente o di pagare solo le spese di spedizione.

In realtà, una volta effettuato il pagamento, il prodotto non arriva mai oppure si tratta di articoli di scarsa qualità.

Questi brand, spesso con milioni di follower, utilizzano account paralleli per aggirare i controlli della piattaforma e limitare il rischio di penalizzazioni. Una volta agganciata la vittima, attivano chatbot automatici con risposte preconfezionate.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, nel 2022 il 70% dei nuovi inserzionisti attivi su Instagram promuoveva truffe, prodotti di bassa qualità o illeciti. Celebrità come Jamie Lee Curtis e Brad Pitt hanno denunciato l’uso fraudolento della propria immagine in annunci deepfake. Inoltre molti profili legittimi sono stati danneggiati da recensioni negative lasciate da utenti truffati da profili fake.

A livello globale il report di Revolut segnala che il 54% delle truffe originate online ha come fonte i servizi di Meta.

Facebook, con il 28%, è la piattaforma più colpita, seguita da WhatsApp con il 21% e Instagram con il 7%. In Italia, secondo la Polizia Postale, le truffe online sono aumentate del 58% tra il 2022 e il 2024. Le somme sottratte sono cresciute da 114,4 milioni di euro a 181 milioni nello stesso periodo.

A questi importi si aggiungono 48 milioni di euro derivanti da frodi informatiche.

Le vittime non appartengono solo alla fascia anziana della popolazione.

I dati mostrano che i giovani adulti sono i più colpiti.

Nella fascia 18-24 anni si registra un’incidenza del 14,1%, seguita da quella 25-34 anni con l’8,5%, a fronte di una media nazionale del 6,8%.

Questo suggerisce che la frequenza di utilizzo delle piattaforme digitali, più che l’età, è un fattore determinante nella vulnerabilità agli attacchi.

In Italia le truffe social avvengono per il 55% su Facebook e Instagram mentre il 45% sulle app di messaggistica Telegram e WhatsApp.

Infine il Wall Street Journal ha riportato che nel 2022 Meta ha dovuto chiudere oltre 2 milioni di account collegati a frodi organizzate, dei quali circa il 70% è stato identificato entro una settimana dalla creazione.

Nonostante le contromisure adottate, il fenomeno continua a rappresentare una minaccia concreta per milioni di utenti.