Tra nuovi tagli dei tassi, tensioni geopolitiche e una sfiducia verso gli asset tradizionali, la corsa ai beni rifugio si è trasformata in un rally storico.
Il protagonista indiscusso del 2025 è stato l’oro, che giorno dopo giorno polverizza record che sembravano irraggiungibili.
I futures con consegna a febbraio hanno toccato ieri quota 4.583,20 dollari l’oncia, un livello che porta il guadagno dall’inizio dell’anno a superare il 72%.
Si tratta della migliore performance annuale dal lontano 1979 come fa sapere quifinanza, quando la crisi petrolifera e l’inflazione galoppante spinsero gli investitori tra le braccia del metallo giallo.
Ma cosa alimenta questa ascesa apparentemente inarrestabile?
Le forze in campo sono multiple e potenti.
In primis, l’allentamento monetario della Federal Reserve, che ha avviato un ciclo di tagli per sostenere un’economia che mostra segni di affaticamento.
Soldi a buon mercato tradizionalmente favoriscono gli asset non fruttiferi come l’oro.
Poi un aumento dei rischi geopolitici, tra cui le mosse degli Stati Uniti per bloccare le petroliere venezuelane, coinvolgendo anche alcune imbarcazioni non inserite nella lista delle sanzioni.
A questo si unisce la domanda delle banche centrali di tutto il mondo, che per il terzo anno consecutivo hanno acquistato oltre mille tonnellate d’oro.
Oggi queste detengono più lingotti che titoli del Tesoro statunitense, un ribaltamento storico che racconta di una ricerca di autonomia e di una diversificazione lontana dal dollaro.
Il processo di de-dollarizzazione è infatti il sottofondo strategico di questo movimento.
Paesi come Cina, Russia e diverse nazioni emergenti stanno riducendo l’esposizione alla valuta americana, percepita come sempre più debole.
Gli analisti concordano: la quotazione dell’oro può ancora crescere.
In un mercato gonfio di capitali e di ottimismo tecnologico, molti fiutano il pericolo di una nuova bolla e cercano il porto sicuro per eccellenza.
Marc Seidner di Pimco prevede ulteriori rialzi superiori al 10% nel 2026, mentre Ken Griffin, CEO di Citadel, definisce l’oro “un rifugio nei confronti del dollaro”.
Ma è forse la banca danese Saxo Bank, nel suo rapporto annuale “Outrageous Prediction”, a delineare lo scenario più rivoluzionario.
Gli analisti ipotizzano che la Cina possa presto annunciare riserve auree molto più ampie di quelle dichiarate e, ancor più radicale, introdurre uno “yuan dorato”, una versione digitale della propria valuta.
Se questo scenario si concretizzasse, Shanghai, Shenzhen e Hong Kong diverrebbero epicentri di un nuovo sistema monetario globale, in grado di sfidare l’egemonia statunitense.
Non solo l’oro, anche l’argento ha visto una crescita importante quest’anno.
Il metallo ha superato quota 72 dollari l’oncia nella seduta di mercoledì, mettendo a segno il quarto rialzo consecutivo e aggiornando i massimi.
I mercati stanno scontando l’ipotesi di due riduzioni del costo del denaro nel 2026, mentre segnali macroeconomici contrastanti rafforzano le aspettative di un futuro taglio da parte della Fed.
Dall’inizio dell’anno l’argento ha registrato un balzo del 149%, spinto da una combinazione di fattori che include le già citate tensioni geopolitiche in tutto il mondo, una solida domanda industriale e la recente classificazione come minerale critico negli Stati Uniti.





















