Stanotte è scomparso Donato D’Angelo.
Con lui se ne va uno dei protagonisti della viticoltura del Vulture, un territorio che grazie anche al suo lavoro ha legato indissolubilmente il proprio nome all’Aglianico. Schivo, lontano dai riflettori, D’Angelo è stato, con la moglie Filena Ruppi e le figlie Erminia ed Emiliana, un artigiano coerente del vino di qualità.
La sua ultima grande soddisfazione arrivò nel 2019, quando fu premiato durante il concorso Assoenologi a Matera: in quell’occasione dedicò il riconoscimento al maestro Severino Garofano, segno della sua profonda gratitudine e umiltà.
Ha dichiarato Francesco Perillo, presidente del Consorzio dell’Aglianico del Vulture:
“Donato D’Angelo è stato una figura fondamentale per l’enologia lucana, un professionista che ha contribuito in modo decisivo alla crescita del territorio, portando il nome del Vulture e dell’Aglianico in tutta Italia e nel mondo.
La sua passione e la sua competenza resteranno un punto di riferimento per tutti noi”.
La sua storia si intreccia con quella della rinascita del vino italiano, uscita dalle ombre dello scandalo del metanolo e spinta verso l’eccellenza da nuove generazioni di produttori e dall’attenzione della guida Gambero Rosso e Slow Food.
Tradizionalista, sì, ma con una mente aperta.
D’Angelo aveva osato anche con vitigni internazionali, realizzando uno Chardonnay tra i migliori d’Italia e un Merlot che sfidava le mode, senza mai rinnegare le radici.
Il suo capolavoro resta il Caselle, un Aglianico del Vulture che ha segnato la storia del vino lucano e oltre.
Durante la sua carriera ha affrontato momenti difficili, ma sempre a testa alta, con dignità e visione.
Con la sua scomparsa, la Basilicata perde non solo un grande enologo, ma un uomo che ha creduto profondamente nella terra, nel tempo e nel valore del vino come identità.