Il vescovo Ambarus entra a Matera: ecco la sua omelia

L’Arcivescovo eletto di Matera-Irsina S. E. Rev.ma Mons. Benoni Ambarus entra a Matera in occasione della solenne celebrazione di inizio del Ministero episcopale in diocesi.

La cerimonia è iniziata alle 18.30 in Piazza Duomo con il Saluto delle autorità civili e militari, rappresentate dal neoeletto Sindaco di Matera Antonio Nicoletti ed è proseguita alle 19.00 nella Cattedrale di Matera con la Solenne Celebrazione Eucaristica.

Due i concelebranti: il Cardinale Enrico Feroci e Mons. Davide Carbonaro, Arcivescovo di Potenza-Muro Lucano- Marsico Nuovo e Metropolita di Basilicata.

Sull’altare anche Mons. Giorgio Bertin (Vescovo emerito di Gibuti), Mons. Renato Tarantelli (Vescovo Ausiliare di Roma), Mons. Rocco Pennacchio (Arcivescovo di Fermo), Mons. Biagio Colaianni (Arcivescovo di Campobasso-Bojano), Mons. Salvatore Ligorio (Arcivescovo emerito di Potenza-Muro Lucano- Marsico Nuovo), Mons. Vito Piccinonna (Vescovo di Rieti), Mons. Piero Fragnelli  (Vescovo di Trapani), don Angelo Gioia, amministratore della Diocesi di Matera-Irsina e don Nicola Urgo, amministratore della Diocesi di Tricarico.

Presente una rappresentanza ecumenica con il Pastore Battista Nunzio Loiudice, Papas Nicola Maisteans della Chiesa ortodossa rumena e Padre Adrian di Potenza.

Questa la sua omelia:

“L’ospitante che diventa ospitato. Potrei riassumere così la prima lettura ed il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi.

Abramo siede all’ingresso della sua tenda nell’ora più calda del giorno, e vive l’incontro con i tre uomini. Si prodiga tanto per accoglierli, offre loro cibo e nutrimento, vive la loro presenza come un dono per sé e la propria famiglia.

Il risultato finale è che il vero beneficiato invece sarà proprio lui e sua moglie Sara.

I tre uomini gli promettono ciò che lui aspetta da tanto: una discendenza, un futuro del proprio clan familiare! Ed è quello che lui aspettava dal Signore: una discendenza.

Non esiste accoglienza vera senza una fecondità reciproca! Mai l’accoglienza vera è unidirezionale; se così fosse, non è vera accoglienza ma una certa disponibilità propria, un potere di fare delle cose verso l’altro, dove la vita non si moltiplica, ma solo conservata e prolungata. Inoltre, il dono che riceve Abramo è una promessa serena di futuro: Avrai una discendenza, avrai un futuro, ed io ti custodirò nella vita!

Nel Vangelo di Luca invece, abbiamo la situazione di due sorelle che accolgono il Signore Gesù insieme ai suoi. Gesù va verso Gerusalemme, è stanco del viaggio ed ha necessità di rigenerare le sue forze. Entrando in casa loro, le sorelle attivano due atteggiamenti, due modi di ospitarlo. Marta è consapevole che le esigenze materiali siano una concretizzazione del suo amore per il Signore: hanno bisogno di mangiare, di nutrirsi. E si mette a fare le cose. La sua ospitalità si declina in cose concrete e pratiche quindi; che sono tante, troppe, e non le rimane più spazio ed energia per altro. Lo fa perché l’ospite deve avere il meglio, e sentirsi a suo agio.

Maria invece sceglie un altro registro per ospitare Gesù: si siede ai suoi piedi e assorbe ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo del Signore. Potremmo dire che a Marta piace fare le cose per il Signore, mentre a Maria piace il Signore. La prima nutre dolcemente Gesù con tutto ciò che riguarda l’ospitalità, mentre Maria si nutre di Gesù e della sua dolce presenza.

Sembra, dal modo in cui reagisce Marta, che sia necessario prendere una posizione radicale: schierarsi con lei o con Maria. Non t’importa? Non ti curi? Non ti curi di me? Ed io, che mi sto stancando per te? Non mi vedi, non mi pensi? Dì a mia sorella di dividere queste incombenze con me così dividiamo anche lo stare ai tuoi piedi ed ascoltarti. Un po’ per uno…fa bene a tutti!

Il Signore non si sfila da questa domanda: certo che m’importa, Marta! Certo che m’importa! M’importa che sei sola! Ma…devi sapere che la necessità è una sola: ascoltare Dio! Il resto è contorno! E la necessità è che tu ti sieda e ti faccia ospitare da me, non io da te.

La tua stanchezza, il tuo affanno della vita, la tua solitudine, il tuo scoraggiamento, non vengono eliminati semplicemente perché fai meno cose con l’aiuto degli altri, bensì dal deporre la tua vita ai miei piedi. Vivi nella misura in cui mi ascolti; perché diventi lentamente ciò che ascolti da me! Se non lo fai, continuerai ad agitarti nella vita, ad “invadermi” quasi con le tue opere, ma non riposerai veramente. Anzi, più che ospitare e servire me, lasciati ospitare e servire da me; solo così potrai sperimentare il mio amore per te.

Perché qui non si tratta di compiacermi, di meritare il mio amore attraverso le cose che fai per me, come se dovessi pagare il mio amore e la mia stima, bensì di immergerti nella relazione con me che ti rigenera nella vita!

Ecco carissimi, cosa dice a noi come Chiesa di Matera-Irsina questa Parola, il giorno in cui il Signore ci ha radunati insieme ed oggi mi chiede di iniziare il cammino di servizio come vostro vescovo e pastore? Mi sembra che tre siano gli atteggiamenti spirituali ed ecclesiali da coltivare:

Primo. Ricordarsi che ogni volta che ospitiamo il Signore, in realtà è Lui che desidera ospitare e rigenerare noi con la sua presenza e fecondità.

Lui accetta l’ospitalità solo come pretesto per poterci incontrare: l’ospitato è il vero ospitante! Perché conosce la nostra solitudine, le nostre stanchezze, amarezze, il nostro bisogno di essere amati innanzitutto, e poi il bisogno di amare! E queste stanchezze e solitudini non si superano tanto perché i nostri fratelli e sorelle ci soccorrono, bensì piuttosto se abbiamo il coraggio di sederci anche noi! Siamo creati per “riposare” innanzitutto nella relazione profonda con il dolce Signore, nostro Ospitante!

Due. A noi non ci accomuna un fare ecclesiale aggrovigliato e confuso, ma la calma delle relazioni corte e profonde, fatto di appartenenza al Signore, di sguardi di accoglienza del mistero dell’altro. Un essere Chiesa dalle relazioni riposanti, dove poterci sentire accolti, rigenerati, rinati nella speranza per la vita. Dei discepoli quindi che più si lasciano “ospitare” dall’amore del Signore, più diventano essi stessi capaci di ospitare gli altri.

Tre. Benedetta l’ospitalità ecclesiale dei discepoli! Benedetta la vita vissuta ad ospitare gli altri, perché solo in questo modo annunciamo a tutti l’Ospite divino! E più le persone sono lontane da lui, più sono stanche e sole, più sono povere di pane, di relazioni, di cultura, di lavoro, più vanno accolte nelle nostre tende per essere rigenerate. Perché così a loro viene annunciato attraverso la nostra vita l’Ospite divino che rigenera, mentre a noi viene data, attraverso loro, la fecondità ulteriore della vita e della vita di grazia!

Per concludere, è Cristo in noi, speranza della gloria che noi annunciamo, dice san Paolo, è Cristo che desideriamo rendere presente nel mondo, e ospitando gli uomini e le donne di oggi nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nelle nostre comunità, favorire l’incontro tra loro e l’Ospite divino”.