A settembre 2025, secondo i dati pubblicati da Istat il 16 ottobre, l’inflazione alimentare in Italia rallenta al +3,1% su base annua, in calo rispetto al +3,4% di agosto.
È un rallentamento significativo, che indica una graduale stabilizzazione dopo mesi di tensioni sui prezzi, ma non ancora un ritorno alla normalità.
I prezzi dei generi alimentari continuano a crescere come fa sapere quifinanza e a incidere in modo sensibile sui bilanci delle famiglie.
Il dato del +3,1% fotografa l’aumento dei prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, la categoria che rappresenta la spesa più frequente e inevitabile per i cittadini.
Sebbene la variazione sia più contenuta rispetto ai picchi del 2023, quando l’inflazione alimentare superava il 10%, il livello dei prezzi resta alto.
Non si tratta di una riduzione dei costi, ma solo di un rallentamento nella loro crescita.
Un litro di latte, una pagnotta di pane o un chilo di verdura fresca continuano a costare più che un anno fa, ma aumentano meno velocemente.
Questo perché la frenata dell’inflazione alimentare riflette due movimenti opposti: da un lato, la riduzione dei prezzi dei prodotti alimentari lavorati (–0,5% su base mensile), dall’altro, la persistente crescita dei prezzi dei prodotti freschi o “non lavorati”, che salgono del +0,6% mensile e del +4,8% su base annua.
Questa dinamica doppia, con alimenti freschi ancora in crescita e prodotti confezionati in lieve calo, spiega perché il carrello della spesa non si alleggerisca realmente.
Il cuore dell’inflazione alimentare resta la componente non lavorata, ossia quella che include frutta, verdura, carne e pesce freschi.
A settembre, questi prodotti hanno registrato un incremento del +4,8% su base annua, in rallentamento rispetto al +5,6% di agosto ma comunque superiore alla media generale dei prezzi (+1,6%).
Dietro questo dato c’è sicuramente un andamento climatico anomalo.
L’estate 2025 è stata caratterizzata da temperature elevate e periodi di siccità alternati a forti precipitazioni, che hanno ridotto la disponibilità di prodotti ortofrutticoli, in particolare nel Centro-Sud.
Minore offerta significa prezzi più alti al dettaglio.
Inoltre, nonostante il rallentamento dei costi energetici, agricoltura e allevamenti continuano a subire gli effetti del rincaro dei fertilizzanti, dei mangimi e del trasporto.
Questi costi, inevitabilmente, si riflettono sui prezzi finali.
Infine, in alcuni segmenti della filiera, in particolare nella grande distribuzione e nella logistica, permangono dinamiche di prezzo rigide, che impediscono ai cali delle materie prime di tradursi immediatamente in sconti per i consumatori.
Si mostra invece un’evoluzione più stabile per prodotti come:
- pasta;
- biscotti;
- pane confezionato;
- conserve;
- latticini.
Si parla dei cosiddetti lavorati e ciò avviene grazie anche alla normalizzazione dei prezzi internazionali del grano, dell’olio di semi e dello zucchero.
Tuttavia, la domanda resta sostenuta e i prezzi non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi.
Le analisi dell’Istat mostrano che l’inflazione alimentare colpisce in modo più forte i consumi delle famiglie a basso reddito, che destinano una quota più alta della propria spesa ai beni di prima necessità.
Nello stesso periodo, le famiglie con spesa più elevata hanno registrato aumenti leggermente superiori (+1,8%), ma il loro potere d’acquisto consente un assorbimento più agevole.
Molti consumatori stanno adottando strategie di risparmio più rigide, spostandosi verso marchi discount, privilegiando i prodotti a lunga conservazione e riducendo l’acquisto di carne o pesce fresco.
Secondo varie analisi di mercato, cresce anche la tendenza a fare la spesa più spesso, ma con scontrini medi più bassi, segno di una cauta gestione delle risorse.






















