Situazione critica in Basilicata: calano le nascite! Ecco i dati Istat

Culle sempre più vuote in Basilicata.

È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Istat sugli indicatori demografici dell’anno 2020:

“Il primo resoconto della natalità nel corrente anno – che Istat ha da poco reso disponibile per il mese di gennaio (seppur in via provvisoria) – si distingue innanzitutto per segnalare la straordinaria caduta della frequenza di nascite sotto la soglia simbolica delle mille unità giornaliere: la media è di 992 nati al giorno, a fronte dei 1.159 di gennaio 2020.

Nel complesso, nel bilancio anagrafico mensile risultano iscritti in Italia 30.767 nati vivi, ossia 5.151 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre in termini relativi giunge a configurare una variazione negativa a due cifre (-14,3%), superiore di oltre dodici punti percentuali a quella corrispondente nel 2020.

Sebbene la periodicità mensile del dato statistico possa lasciare spazio all’ipotesi che si sia in presenza di una semplice oscillazione occasionale, la convinzione di trovarci di fronte a qualcosa di ben più strutturale va consolidandosi allorché si osserva come questo risultato faccia seguito all’analoga variazione negativa a due cifre (-10,3%) con cui si è chiuso il 2020 (variazione di dicembre 2020 su dicembre 2019), e come già nel bilancio anagrafico del mese precedente era affiorato un segnale di improvviso forte ribasso nella frequenza di nati (il -8,2% di novembre 2020 su novembre 2019); quasi a sancire un punto di svolta nel corso di un’annata i cui primi dieci mesi avevano fatto registrare, rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, un calo relativamente contenuto (-2,7%) e del tutto in linea con l’ordine di grandezza delle tendenze regressive susseguitesi ininterrottamente dal 2009 al 2019 (-2,8% in media annua).

Cosa è dunque intervenuto ad accelerare la caduta della natalità in Italia nel tratto terminale dello scorso anno?

La risposta va forse ricercata attraverso una lettura del bilancio demografico che sia capace di mettere in relazione le componenti della dinamica naturale, nascite e decessi, con un approccio diverso da quello cui tradizionalmente si è abituati.

Se infatti, invece di accostare, mese dopo mese, il totale dei nati (+) e dei morti (-) per ricavarne intensità e segno del relativo saldo algebrico, provassimo ad affiancare ai numeri della mortalità accertata mensilmente quelli dei corrispondenti “presumibili” concepimenti, destinati a dar luogo al totale dei nati che figureranno nel dato statistico di nove mesi dopo, potremmo leggere la svolta nella caduta della natalità anche alla luce del legame che si è venuto a creare, a partire dalla fine di febbraio 2020, tra la progressiva diffusione della pandemia, con la percezione dei suoi effetti più drammatici fortemente alimentata dalla cassa di risonanza mediatica, e il clima di paura e incertezza che ha verosimilmente accompagnato la vita e le scelte riproduttive della popolazione in età fertile.

Sotto il profilo del dettaglio regionale, al Nord è il caso di mettere in luce:

  • il calo delle nascite in rialzo per la Lombardia (con una variazione tendenziale negativa del 13,4% a dicembre 2020 che è passata al 16,6% nel dato di gennaio 2021);
  • la stabilità del Veneto (-11,4% in entrambi i mesi);
  • il moderato peggioramento per l’Emilia-Romagna (dal 12,7% di dicembre al 13,9% di gennaio), il Piemonte (dal -14,6% al -16,1%) e il Friuli-Venezia Giulia (dal -14,% al -16,8%);
  • l’aumento assai più consistente per la Liguria (da -11,1% a -19,8%).

Sostanzialmente fuori dal coro è invece la dinamica del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che alla variazione moderatamente positiva di dicembre 2020 (+2,5%) fa seguire a gennaio un lieve regresso (-0,9%).

Passando al Centro Italia, accanto al caso anomalo del Lazio, che presenta un’inversione di segno, transitando dalla variazione tendenziale positiva a dicembre 2020 al valore decisamente negativo (–17,3%) di gennaio 2021, si rileva:

  • una moderata crescita per la Toscana (-8,5% a dicembre e -10,8% a gennaio);
  • una sostanziale attenuazione per l’Umbria (da -14,1% a -5,1%);
  • una analoga riduzione, più modesta, per le Marche (da -19,5% a -13,2%).

Al Sud si coglie innanzitutto la forte accentuazione del calo tendenziale per la Campania (da -11,1% a dicembre a -21,4% a gennaio) e, in tono minore, per l’Abruzzo (da -7,1% a -12,8%), il Molise (da -21,1% a -23,5%), la Basilicata (da -9,3% a -16,7%) e la Calabria (da -8,9% a -14,8%).

L’unica variazione negativa in riduzione si osserva per la Puglia, il cui calo tendenziale scenda dal -13,9% di dicembre 2020 al -8,7% di gennaio 2021.

Infine in corrispondenza delle Isole, va dato conto di una stabilità in corrispondenza della Sicilia (-17,7% in entrambi i mesi) e di un netto peggioramento per la Sardegna, che passa dal -5,6% di dicembre 2020 al -13,8% di gennaio 2021.

In conclusione, si può dire che attraverso i dati mensili che si rendono via via disponibili – e di cui Istat è impegnata a dare tempestivamente conto – sembra allontanarsi l’ipotesi di occasionalità nella svolta regressiva subita in questi mesi sul fronte delle nascite, mentre va sempre più accreditandosi la convinzione che il malessere che ha recentemente colpito la natalità nel nostro Paese abbia una causa ben definita, e non ancora risolta, destinata a svolgere anche in futuro (almeno nell’immediato) un ruolo di primo piano nel disegnare l’esito delle scelte e dei comportamenti riproduttivi degli italiani.

D’altra parte, il fatto stesso che la graduatoria delle regioni dove più sembra aver agito il fattore rinvio/rinuncia delle gravidanze durante la prima fase della pandemia non segua che parzialmente la geografia di quella che è stata la gravità del fenomeno nel corso del bimestre marzo-aprile 2020 – il solo per cui al momento è stata possibile l’analisi – si rivela particolarmente eloquente.

Dai dati si ha conferma di come l’effetto frenante della comparsa di COVID-19 sull’avvio di una nuova gravidanza sia stato amplificato su tutto il territorio nazionale, al punto che la curiosa vicinanza tra la Lombardia, notoriamente nell’occhio del ciclone durante la prima fase pandemica, e la Sicilia, a quel tempo decisamente meno esposta all’infezione e alla mortalità, ci offre lo spaccato di due contesti profondamente diversi che pur hanno vissuto le stesse scelte riproduttive.

A chiara testimonianza di un Paese nel quale a ogni latitudine si è condiviso, per esperienza diretta o per via mediatica, quel clima di difficoltà e di paura capace di spingere gli aspiranti genitori ad orientare i loro programmi verso ‘tempi migliori‘”.