Matera, la lettera dei medici di famiglia: “siamo sempre esistiti. Anche prima dei tamponi rapidi in studio”

Riceviamo e pubblichiamo una nota del Dott. Erasmo Bitetti, segretario SIMG Matera (Società Italiana di Medicina Generale):

“I medici di famiglia, sbrigativamente detti “di base” talora con una punta di disprezzo iniziano a raccontare il loro lavoro dopo il diluvio di critiche che, dall’inizio della pandemia, è piovuta sulla medicina territoriale, accusata di essere assente se non inesistente, incapace di farsi carico dei bisogni assistenziali, fatta di liberi professionisti con soli diritti e nessun dovere.

In questa lettera di due colleghi e amici della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) il racconto appassionato di quello che accade nella vita reale di cittadini e medici che si spendono nel silenzio rischiando la vita quanto i loro colleghi ospedalieri.

I Medici di medicina generale non ci stanno a far passare il concetto che la loro discesa in campo coincida con l’esecuzione da parte loro dei tamponi rapidi.

E’ dall’inizio della diffusione di SARS-CoV-2 sul nostro territorio che i Medici di Famiglia sono stati coinvolti nella battaglia contro questa epidemia, come dimostrato dall’alto tasso di contagi all’interno della categoria.

Tuttavia è stata impossibile una conversione del loro lavoro totalmente orientata al COVID perché le necessità degli assistiti non si limitava a questo nonostante l’arrivo dell’epidemia.

Occorre evidenziare che durante la prima fase dell’epidemia molti reparti sono stati riconvertiti e molti specialisti assegnati ad altre mansioni per supportare l’emergenza.

Nei reparti di malattie infettive rispondevano al telefono medici non appartenenti a quel reparto per aiutare i colleghi in difficoltà: sono stati riassegnati nei compiti e nessuno si sarebbe aspettato che questa loro mansione fosse svolta in aggiunta all’attività ordinaria (ambulatoriale o di sala operatoria d’elezione) che infatti è stata limitata e spesso sospesa per diversi mesi.

Al contrario, durante la prima fase di diffusione del virus i Medici di Famiglia hanno avuto nuovi compiti.

Sono stati coinvolti nella funzione di filtro e segnalazione dei casi sospetti, nel garantire l’isolamento fiduciario dei pazienti in attesa del tampone e dei contatti stretti dei pazienti positivi, nel follow up telefonico dei pazienti positivi al COVID.

Tutto questo con un aggravio burocratico e di responsabilità nei confronti dei pazienti, nella totale assenza di linee guida ed a più ondate respingendo (nonostante l’insistenza di pazienti e specialisti ad applicarli) protocolli di cura a domicilio che, a posteriori, si sono dimostrati più nocivi che benefici.

A questo si è sommata la gestione delle ansie e delle paure dei pazienti a rischio o con sintomi, le numerose telefonate di rassicurazione e le visite, dal vivo o in teleconsulto, legate all’ansia ed alla depressione che un momento storico così difficile ha fatto sviluppare ad una larga fetta della popolazione, soprattutto quella più anziana e fragile.

Per svolgere questi compiti i Medici di Famiglia non sono stati riassegnati: sono compiti che si sono semplicemente aggiunti ai precedenti perché la loro attività ordinaria, a differenza di quella specialistica non d’urgenza, non si può interrompere.

Con l’arrivo dell’epidemia da COVID i pazienti non hanno smesso di avere la lombalgia, il diabete, la bronchite cronica, la fibromialgia o un tumore.

Ed hanno continuato a rivolgersi ai medici di famiglia anche più di prima perché nei reparti specialistici dove le attività ordinarie si sono interrotte loro non hanno più trovato risposta e le hanno cercate con ancor più insistenza dal loro medico di medicina generale.

A questi è spettato anche il compito di monitorare le terapie con piano terapeutico (essendone stato permesso il rinnovo automatico) e la valutazione necessaria alla prosecuzione delle terapie in atto è rimasto un atto clinico non rimandabile. Tutto questo senza dimenticare l’assistenza domiciliare che i Medici di Medicina Generale hanno continuato, come sempre, ad erogare a domicilio ai pazienti fragili, allettati, con patologie avanzate e terminali.

I Medici di Famiglia sono stati, per tutte queste ragioni, direttamente o indirettamente, tra i più coinvolti nella guerra contro il COVID.

I loro ambulatori non hanno mai chiuso.

Il carico di lavoro si è moltiplicato e si è sviluppato tramite canali prima poco utilizzati (e-mail, messaggistica istantanea) che hanno reso ancora più complicato il rapporto con il paziente per la difficoltà di fornire ed ottenere spiegazioni adeguate. Il telefono è diventato uno strumento d’eccellenza per il contatto con i pazienti e spesso è rimasto acceso anche oltre le canoniche 12 ore diurne, talvolta anche nei weekend, qualora pazienti particolarmente fragili ne avessero necessità.

Alle difficoltà di tipo clinico-assistenziale si sono sommate le difficoltà di tipo organizzativo.

La riorganizzazione delle attività, dei presidi e delle strutture in cui erogare il servizio di Assistenza Primaria necessaria a fronteggiare il rischio infettivo è stata a totale carico del Medico di Famiglia, in quanto libero professionista.

I medici che permettevano l’accesso libero ai pazienti hanno dovuto organizzare un sistema di prenotazione (onde evitare assembramenti nelle sale d’attesa), spesso senza l’aiuto di una segretaria perché assente o perché mantenuta a domicilio per evitare il contagio nei periodi di massima diffusione dell’epidemia.

Si sono dovuti garantire inoltre, anche tramite ristrutturazioni dei locali, il distanziamento tra i pazienti, l’incolumità del personale di studio con l’acquisto o la realizzazione di separatori fisici. I medici, vista la carenza in particolare nella fase iniziale della pandemia, hanno dovuto approvvigionarsi autonomamente di disinfettanti per l’ambiente, di gel igienizzante e di dispositivi di protezione individuale che le Aziende Sanitarie hanno fornito con il contagocce.

Eppure per qualcuno i MMG non hanno fatto niente.

E l’impressione potrebbe essere questa perché sembra che la medicina territoriale sia sempre un passo indietro. Ma, nonostante tutto il tempo a disposizione per riorganizzarsi, non c’è stato un adeguato potenziamento del territorio.

A parte la realizzazione delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale che stanno svolgendo un egregio lavoro di valutazione, tracciamento e monitoraggio limitato ai pazienti non trasportabili, ma che sono notevolmente sotto organico, nessun investimento è stato effettuato per rafforzare la risposta extraospedaliera.

I Dipartimenti di Prevenzione soffrono per le carenze di personale, il turnover dei pensionamenti dei Medici di Famiglia andati in quiescenza va a rilento, non sono stati investiti fondi per l’assunzione di personale (di studio o infermieristico) negli ambulatori della Medicina Generale.

E, pur senza un rafforzamento del territorio, inizia ora una seconda fase. Le attività ordinarie degli ospedali non sono ancora del tutto riprese che già si stanno riconvertendo i reparti. Le liste d’attesa per le consulenze specialistiche, già lunghe prima dell’emergenza COVID, ora lo sono ancora di più (sempre che non siano addirittura chiuse).

Il paziente ormai troppo spesso non si aspetta più di essere preso in carico dalla specialistica pubblica perché l’ospedale è già saturo di ricoveri e di attività con i colleghi ospedalieri si stanno facendo in quattro per fronteggiare il ritorno del COVID.

Il paziente abbiente allora si rivolge al privato, ma chi non può (ed è la maggioranza dei cittadini) a chi si rivolge? Al medico di famiglia, sempre più carico di nuovi compiti e mai sgravato da quelli precedenti.

Ora, contemporaneamente alla più grande campagna vaccinale antinfluenzale che sia mai stata realizzata ed a cui i Medici di Famiglia hanno risposto nonostante le difficoltà organizzative imposte dall’emergenza COVID, si chiede loro di effettuare i tamponi rapidi per il COVID, definendo questa come la loro “discesa in campo”. Ritengo sia evidente come questo non corrisponda a realtà, ma sia un ulteriore aggravio ad una attività già estremamente oberata dall’assistenza legata al COVID e non solo.

Perciò, sebbene la categoria dei Medici di Famiglia si metta sempre a disposizione nel momento del bisogno della popolazione, è necessario che questa sia compensata dalla realizzazione delle condizioni necessarie per lavorare con efficienza ed in sicurezza.

E’ fondamentale che siano realizzati dei percorsi rapidi e chiari per la gestione dei pazienti COVID o sospetti tali, percorsi finora troppo lenti e poco chiaramente definiti; è necessario che le attività di contatto con i pazienti sospetti COVID (come i test rapidi) si realizzino in sedi messe a disposizione dal Sistema Sanitario che possano garantire un percorso sporco e siano forniti di adeguati DPI e con personale di supporto dedicato; è di estrema necessità che le novità ed i percorsi di nuova istituzione siano prontamente comunicati ai Medici di Famiglia che ancora troppo spesso li scoprono dai telegiornali prima che dalle istituzioni.

Infine è necessario che tutto il lavoro svolto sia riconosciuto pubblicamente perché è evidente che una categoria che lavora duramente e si sente additare dalle autorità come nullafacente, nonostante tutti gli sforzi fatti, perde la voglia di sacrificare la propria vita privata in favore dei propri pazienti, come i Medici di Medicina Generale stanno facendo in questo periodo.

Chi pensa che il MMG sia assente in questo momento, evidentemente non ha mai lavorato sul territorio. E forse non potrà mai capire.

Ma le ore di attività svolte, l’enorme quantità di telefonate, messaggi, e-mail, visite effettuate in questi giorni lo testimoniano benissimo.

La medicina generale c’è, sempre, con o senza i nuovi compiti specifici del COVID”.