Basilicata: “il cosiddetto posto fisso non è più l’obiettivo principale”! Ecco le proposte per combattere spopolamento e fuga dei cervelli

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Gerardo de Grazia (Confsal Basilicata e Fismic Confsal Potenza):

“In una regione oppressa dallo spopolamento e dalla fuga dei cervelli, adottare le nuove forme di lavoro è una delle poche strategie a costo zero per invertire il trend.

Invogliare i giovani e le loro competenze, partendo proprio dalle nuove forme di lavoro.

Le nuove generazioni hanno cambiato gli stereotipi, l’auto non è più un traguardo come fino a una decina di anni fa e il lavoro deve avere orari flessibili e maggiore dinamicità.

Una lettera di dimissioni su quattro è motivata dal fatto di voler dare un nuovo senso alla propria vita.

Il fenomeno del great resignation, le grandi dimissioni, registrate nel 2022, anche in Italia ne sono la prova.

Il cosiddetto posto fisso non è più l’obiettivo principale, la flessibilità è diventata una priorità non negoziabile.

La conciliazione vita/ lavoro diventa l’elemento fondamentale della carriera lavorativa, smart working, benefit e welfare.

Per questo, ritengo che vi sia la necessità, in Basilicata, di aprire una discussione seria, coinvolgendo associazioni giovanili, università, Confindustria e sindacati.

Il mercato del lavoro è in continua evoluzione: intelligenza artificiale, settimana corta, lavoro agile e problem solving, sono le nuove frontiere del mercato del lavoro.

Secondo il WEF (World Economic Forum) entro il 2025 verranno cancellati 85 milioni di posti di lavoro e se ne creeranno 97 milioni.

Il problema è che saranno lavori che, oggi, nessuno sa fare.

Nelle prime 10 competenze richieste dal lavoro del futuro, 6 riguardano il problem solving, ovvero l’abilità di risolvere e affrontare problemi non ancora risolti attraverso la capacità critica ed il pensiero laterale.

Le altre 4 riguardano l’attitudine a lavorare in gruppo.

Spariscono, completamente, le competenze prettamente tecniche che risultano obsolete dopo soli tre anni.

Una ricerca del Randstad Workmonitor, su 1000 lavoratori italiani, ha evidenziato che il 29% di essi vorrebbe la settimana corta ma, bisogna tener conto che la flessibilità deve guardare alle esigenze di tutti gli attori coinvolti, lavoratori e aziende.

Esistono diversi modelli di settimana corta, alcuni prevedono la cancellazione totale della quinta giornata, senza riduzione degli istituti (retribuzione, ferie ecc.) altri prevedono la redistribuzione del quinto giorno (parziale o totale) sugli altri 4.

Ovviamente, quando si parla di flessibilità non bisogna confondere il lavoro agile con la settimana corta.

Sono istituti diversi che possono coesistere, restando diversi.

Nel primo si lavora per obiettivi, cambia luogo e modalità, nel secondo, invece, scompare una giornata di lavoro.

Non essendo un diritto, queste forme di lavoro devono, inevitabilmente guardare alla produttività, dando importanza agli obiettivi e facendo passare in secondo piano il tempo.

Solo attraverso la sperimentazione, con accordi sindacali, si può capire se la flessibilità, in ogni sua forma, migliora la qualità del lavoro, offrendo un miglioramento ai dipendenti e alle aziende.

Una cosa è certa, continuare soltanto ad osservare i cambiamenti del mondo del lavoro senza far nulla, rende il territorio poco appetibile per i giovani”.