Pasqua a Matera: ecco l’omelia di mons. Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina e Tricarico

Per questa Santa Pasqua, di seguito l’omelia di mons. Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina e Tricarico, dalla Cattedrale di Matera:

“Carissimi tutti, l’evento della Pasqua del Signore Gesù ci proietta a celebrare questo giorno come un evento grandioso che cambia la storia rotolando la pietra degli egoismi e della cattiveria umana che vuole soffocare la speranza e la certezza della vittoria su ogni male, su ogni morte.

In questo giorno anche noi partecipiamo emotivamente e interiormente alla sequela delle azioni compiute da chi era lì. E così anche noi idealmente cerchiamo, affrettiamo il passo, corriamo, piangiamo di dolore e di gioia, anche noi restiamo confusi e anche noi ritroviamo la luce, la luce che vince le tenebre della notte e della morte. Seguendo Maria di Magdala anche noi siamo invitati ad andare e cercare il risorto vincendo la tentazione di fermarci davanti al sepolcro del venerdì santo.

Seguiamo anche Pietro e Giovanni, cambiando passo e corriamo, nonostante il buio della notte, il buio dei momenti tristi della nostra esistenza, il buio del momento storico difficile che stiamo vivendo, dei mari della disperazione solcati da centinaia di migliaia di disperati verso una terra promessa che, purtroppo, per tantissimi non sarà mai raggiunta, ma quel mare si rivelerà una tomba dimenticata per sempre.

Nel Vangelo di Giovanni gli amici di Gesù, diventati anche nostri amici, non smettono di cercare Gesù, nonostante il buio della vita. La Pasqua è cercare la vita se cerchiamo Gesù, e viceversa: trovando Gesù, inciampare nella vita. Incontrare il risorto vuol dire, non solo proiettarsi verso Dio, ma “concedere a noi stessi” la sua stessa eternità per un incontro con il risorto che apre gli spazi di una vita nuova, anzi ci proietta verso l’eternità di Dio.

La risurrezione passa attraverso questo incontro che cambia l’esistenza umana e la impegna fattivamente e radicalmente nella quotidianità, nei rapporti con gli altri, nei luoghi che si frequentano.

Si, siamo tutti invitati in questo marasma di paure, di morte, di guerre, di ingiustizie, a cercare la vita, amarla e servirla. Non possiamo accettare di pensare al futuro dei bambini che vengono al mondo come prodotti ordinati. Per noi cristiani la vita è un dono e non un diritto. E se è un dono, l’uomo non ne è il padrone e non può decidere se nascere o morire. Si può pensare di cercare la vita attraverso un utero in affitto o dare la morte con una iniezione letale?

La Maddalena, Pietro e Giovanni sono chiamati a vedere (il verbo proviene da un termine germanico che, nella sua etimologia, significa non solo osservare con gli occhi, ma anche avere cura, custodire): tutto rimane legato alla vista. Infatti l’evangelista precisa che Maria Maddalena “vide”, i discepoli “videro” sono quindi chiamati a testimoniare.

Cosa? Entrano nel sepolcro oppure guardano dall’ingresso nel sepolcro e si accorgono che è vuoto, il corpo di Gesù non c’è: sono rimasti solo i segni che avevano avvolto la morte: i teli.

Furono loro i primi a capire che per vedere Gesù risorto bisogna uscire dalle tombe della storia. Il dolore, il vuoto, le lacrime e spesso la disperazione sono i segni della nostra fragilità ma non possono e non devono impedirci di tornare a respirare, camminando per le strade di questa umanità che ha bisogno di noi e quanto noi abbiamo bisogno di essa!

L’olio che abbiamo benedetto e consacrato durante la messa crismale ci richiama all’urgenza di noi lucani di essere dignitosamente curati. E’ un diritto sacrosanto. Ma è proprio la sanità pubblica e privata lucana che ha bisogno, prima di tutto, di essere curata. Da quello che intendo credo sia necessario valorizzare le strutture sanitarie già esistenti sul territorio, dando respiro ai medici, infermieri e operatori sanitari, attraverso nuove assunzioni. Ma è altrettanto urgente valorizzare anche le nostre eccellenze, medici, infermieri, operatori sanitari, perché operino nel nostro territorio così da consentire, a quanti ne hanno bisogno, di essere curati qui, senza emigrare altrove, con evidenti disagi finanziari e affettivi.

Da quando sono anche vescovo di Tricarico sto visitando e incontrando le diverse comunità di quest’aria interna. Si avverte forte lo spopolamento. Le nuove generazioni sono costrette a lasciare la nostra terra per mancanza di prospettive future affidando il destino di questi piccoli centri ai tanti anziani e ai pochi bambini. Se da una parte assistiamo a fenomeni di migrazione di massa verso l’Italia e l’Europa, dall’altra, attoniti e con grande dolore, assistiamo impotenti alla partenza della nostra meglio gioventù. E’ assurdo che ancora non si riesca a trovare una soluzione adeguata, con progetti mirati a favorire le nuove generazioni e per il bene della nostra terra.

Infine, sia la Maddalena che i discepoli, dopo aver veduto “credettero”. Chi ha visto non può che credere. Significa che la loro vita, da quel momento cambiò radicalmente, rinnovandosi. Sono uomini nuovi, resi tali dall’incontro personale con il Risorto. E’ questo d’altronde il vero senso della Pasqua: raccontare con la propria vita l’incontro con il Cristo Risorto.

Questa è la missione che da quel giorno è stata affidata alla Chiesa. Questa è la missione che oggi viene affidata a noi, Chiesa in cammino, Chiesa eucaristica sinodale, così come abbiamo avuto modo di meditare durante il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale celebrato a Matera nel settembre scorso. Senza questa centralità dell’annuncio non c’è Chiesa. Saremo anche devoti, religiosi, ma rassegnati e senza speranza.

Non è stato questo lo spirito dei nostri padri, di quanti ci hanno preceduti in questo cammino di fede. In questo tempo di Pasqua, ci renderemo conto, ascoltando i diversi brani dell’apparizione di Gesù Risorto, come la comunità cristiana, ritrova vita perché crede, spera e annuncia con forza la verità della fede: Cristo è risorto, è veramente risorto! Eppure ha attraversato lo sconforto, la paura, la disperazione.

Questo tempo ha bisogno di una Chiesa capace di riprendere a correre, passando e visitando i sepolcri della storia che l’uomo ha scavato per se stesso e non per Dio, che annuncia la vittoria su ogni tipo di morte, soprattutto quella spirituale che è peggio di quella materiale. Come scrisse Isacco il Siro: “Il solo e vero peccato è rimanere insensibili alla resurrezione”.

Vorremmo tanto che le strade di comunicazione delle aree interne fossero vere strade, percorribili senza rischi, in modo da raggiungere agevolmente i piccoli paesi ricchi di storia, di umanità, dal cuore grande ma isolati dai centri. Anche questo diventa indice di risurrezione.

E’ questo il motivo per cui la Chiesa mantiene sempre il suo equilibrio nel considerare il rapporto dell’uomo con la terra nei termini di una custodia e non di una proprietà. Risurrezione è anche riscoprire che l’uomo è stato chiamato ad essere collaboratore di Dio nel governo del creato, molto di più di un ecologista. L’uomo deve ritrovare la sua centralità nella creazione, incominciando ad essere educato fin da quando è ragazzo.

Mi sembra molto opportuna l’espressione di Benedetto XVI quando diceva: “non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale”.

Una Chiesa che si trascina, stanca, piena di paura e chiusa in se stessa, incapace di affrontare le nuove sfide, sarà una Chiesa senza futuro. Ma una Chiesa che crede nell’azione dello Spirito Santo che la guida, certa che lo Sposo, Cristo, è sempre vivo, sarà una Chiesa che esce, ha coraggio, convinta della forza dirompente dell’annuncio di Pasqua. Solo così mostreremo anche ai più accaniti oppositori e denigratori di essere abitati dalla speranza, dalla vita, dal vangelo che è davvero carità, cioè condivisione e non elemosina.

E come ci ricorda Papa Francesco, apriamo il cuore con stupore all’annuncio della Pasqua: “Non avere paura, è risorto! Ti attende in Galilea”. “Le tue attese non resteranno incompiute, le tue lacrime saranno asciugate, le tue paure saranno vinte dalla speranza. Perché, sai, il Signore ti precede sempre, cammina sempre davanti a te. E, con Lui, sempre la vita ricomincia”.

Nella liturgia bizantina c’è un bellissimo testo che annuncia la Pasqua. Ne riporto alcuni passi: “Entrate tutti nella gioia del Signore primi e ultimi, ricevete la ricompensa, giovani e vecchi, danzate insieme. Abbiate o no digiunato, oggi rallegratevi tutti.

Nessuno pianga la sua miseria: il regno di Dio è aperto a tutti. Nessuno si rattristi per i suoi peccati: il perdono si è levato dal sepolcro. Nessuno tema la morte: il Signore l’ha annientata per sempre. Cristo è risorto e gli inferi sono stati svuotati”.

In questi giorni ho visitato, in un pellegrinaggio continuo, i luoghi abitati da situazioni di solitudine, di ogni tipo di sofferenza, portando loro una parola di speranza: a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, a quanti aspettano, nella loro condizione di povertà, un gesto, una carezza, uno sguardo pieno d’affetto, perché possa circolare la concretezza dell’amore.

La pace di Cristo risorto possa dare serenità alle famiglie della nostra città e dell’intera Chiesa di Matera-Irsina e di Tricarico, a quanti in questo tempo sono ospiti a Matera e nel nostro territorio.

S. Pasqua a tutti.

Così sia”.