Sempre meno nascite in Basilicata: sono le donne lucane ad avere il primo figlio più tardi! Ecco i dati

Le donne lucane sono quelle che in Italia in media hanno il primo figlio più tardi (32 anni).

E’ quanto emerge dall’ultima rivelazione Istat, che fa segnare in tutta Italia un ulteriore spopolamento.

In aumento i figli nati fuori dal matrimonio: 1 bambino su 3.

Un dato più basso in Basilicata, dove i nuovi nati da coppie non sposate sono circa 1 su 5.

Nel 2019 in Basilicata sono nati 1251 bambini, in meno rispetto al 2008.

Ecco l’Indagine:

Ancora un record negativo per la natalità

Continuano a diminuire i nati: nel 2019 sono 420.084, quasi 20 mila in meno rispetto all’anno precedente e oltre 156 mila in meno nel confronto con il 2008.

A diminuire sono soprattutto i nati da genitori entrambi italiani: 327.724 nel 2019, oltre 152 mila in meno rispetto al 2008.

Il numero medio di figli per donna continua a scendere: 1,27 per il complesso delle donne residenti (1,29 nel 2018 e 1,46 nel 2010, anno di massimo relativo della fecondità).

Continuano a diminuire i nati

Nel 2019 i nati della popolazione residente sono 420.084, quasi 20 mila in meno rispetto al 2018 (-4,5%).

Per il settimo anno consecutivo, nel 2019 c’è un nuovo superamento, al ribasso, del record di denatalità.

Dal 2008 le nascite sono diminuite di 156.575 unità (-27%).

Questo calo è attribuibile quasi esclusivamente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (327.724 nel 2019, oltre 152 mila in meno rispetto al 2008).

Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.

In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.

Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust; tuttavia, l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.

A diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 279.744 nel 2019, 18 mila in meno rispetto al 2018 e 184 mila in meno nel confronto con il 2008.

Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (rispetto, ad esempio, al 2008 quando erano 246.613) per poi proseguire con un andamento altalenante.

La denatalità prosegue nel 2020; secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-agosto 2020, le nascite sono già oltre 6.400 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.

Anche senza tener conto degli effetti della pandemia di Covid-19, che si potranno osservare a partire dal mese di dicembre 2020, ci si può attendere una riduzione ulteriore delle nascite almeno di 10 mila unità.

Il calo delle nascite riguarda anche i primi figli

La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 si ripercuote anche sui primi figli: nel 2019 sono 200.291 (-29,5% sul 2008) e rappresentano il 47,7% del totale dei nati.

Complessivamente i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 25% nello stesso arco temporale.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese, ad eccezione della provincia autonoma di Bolzano che, al contrario, presenta un aumento (+1,7%).

La diminuzione dei primi figli rispetto al 2008 è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro, a testimonianza della difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più
giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica un po’ diversa rispetto all’inizio del millennio, quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

I primi figli si sono ridotti soprattutto al Centro (-34,4%): Umbria (-36,7%), Marche (-35,6%), Toscana (-34,7%) e Lazio (-33,6%). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative: Liguria (-35,6%), Valle d’Aosta (-34,9%), Piemonte (-34,8%), Friuli-Venezia Giulia (-34,1%), Veneto (-33,6%), Emilia-Romagna (-33%) e Lombardia (-30%).

Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

L’effetto di questi fattori è stato amplificato negli ultimi anni da una forte instabilità economica e da persistenti difficoltà di carattere occupazionale e reddituale, che hanno spinto sempre più giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta rispetto alle generazioni precedenti.

Un nato su tre ha genitori non coniugati

In un contesto di nascite decrescenti, quelle che avvengono fuori del matrimonio aumentano di oltre 27 mila unità rispetto al 2008, raggiungendo i 140.340 nati da genitori non coniugati nel 2019.

Il loro peso relativo continua a crescere (33,4% nel 2019).

La quota più elevata di nati da genitori non coniugati si osserva nel Centro (39,5%), seguito dal Nordest (36,2%) e dal Nord-ovest (35,2%).

Tra le regioni del Centro spicca la Toscana (41,7%) mentre al Nord-est la proporzione più alta si registra a Bolzano (46%, il valore più alto a livello nazionale).

Il Sud presenta generalmente incidenze molto più contenute (26,1%), con le percentuali più basse in Calabria
(21,8%) e in Basilicata (22,2%).

Il valore della Sardegna (44,4%) supera invece anche la media del Centro-nord.

Considerando solo i nati da genitori entrambi italiani, il 36% ha genitori non coniugati.

L’incidenza di nati fuori dal matrimonio è più elevata nel caso di coppie miste se è il padre a essere straniero (35,3%); quando è invece straniera la madre, la proporzione è più bassa (26,4%).

Per i nati da genitori entrambi stranieri la quota è la metà (16,7%) del totale nazionale.

Si riduce il contributo alla natalità dei cittadini stranieri

Dal 2012 al 2019 diminuiscono anche i nati con almeno un genitore straniero (quasi 15 mila in meno) che, con 92.360 unità, costituiscono il 22% del totale dei nati, oltre 4.200 in meno solo nell’ultimo anno.

I nati da genitori entrambi stranieri, scesi per la prima volta sotto i 70 mila nel 2016 (69.379), sono 62.918 nel 2019 (15,0% sul totale dei nati), poco più di 2.500 nati in meno rispetto al 2018.

Questo è anche l’effetto delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio.

Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine, negli anni 2003-2004, alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, in gran parte tradotti in un “boom” di iscrizioni in anagrafe dall’estero (oltre 1 milione 100
mila in tutto), che ha fatto raddoppiare il saldo migratorio rispetto al biennio precedente.

Le boomers, che hanno fatto il loro ingresso o sono “emerse” in seguito alle regolarizzazioni, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo in modo importante all’aumento delle nascite e della fecondità di periodo.

Ma le cittadine straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta “invecchiando”.

La dinamica migratoria si è attenuata con la crisi degli ultimi anni, pur restando positiva come avviene ormai da oltre venti anni. In Italia, inoltre, sono sempre più rappresentate le comunità straniere caratterizzate da un progetto migratorio in cui le donne lavorano e mostrano minori livelli di fecondità.

È il caso delle donne ucraine, moldave, filippine, peruviane ed ecuadoriane, che hanno alti tassi di occupazione, prevalentemente nei servizi alle famiglie.

Anche per queste ragioni il contributo delle cittadine straniere alla natalità della popolazione residente si va lentamente riducendo.

Si osservano due tendenze divergenti tra i nati in coppia mista e quelli con entrambi i genitori stranieri.

I primi, passati da 23.970 del 2008 a 29.442 del 2019, presentano un andamento oscillante a partire dal 2010.

I nati da genitori entrambi stranieri, dopo un incremento sostenuto fino al 2012, sono invece diminuiti di 16.976 unità nell’arco dei 7 anni.

Il crescente grado di “maturità” dell’immigrazione nel nostro Paese, testimoniato anche dal notevole aumento delle acquisizioni di cittadinanza italiana, rende però sempre più complesso misurare i comportamenti familiari dei cittadini di origine straniera.

Si riscontra, infatti, un numero rilevante di acquisizioni di cittadinanza proprio da parte di quelle collettività che contribuiscono in modo più cospicuo alla natalità della popolazione residente.

Nel 2019 hanno acquisito la cittadinanza italiana 127.001 stranieri, il 12,9% in più rispetto all’anno precedente.

Le donne sono 66.890, il 52,7% del totale, e, di queste, il 62,2% ha un’età compresa tra 15 e 49 anni.

Le donne albanesi divenute italiane nel 2019 sono oltre 13 mila, quasi il 20% del totale; quelle marocchine circa 8.300 (12,5%) e quelle di origine rumena poco meno di 6 mila (8,9%).

Nel complesso, queste collettività rappresentano oltre il 40% del totale delle acquisizioni di cittadinanza da parte di donne straniere nel 2019, con quote in età feconda rispettivamente pari a 62,4%, 55,8% e 65,8%.

Al Nord più di un nato su cinque ha genitori entrambi stranieri

Al primo posto tra i nati stranieri iscritti in anagrafe si confermano i bambini rumeni (12.215 nati nel 2019), seguiti da marocchini (8.687), albanesi (6.684) e cinesi (3.121). Queste quattro comunità rappresentano quasi la metà del totale dei nati stranieri (49,3%).

L’incidenza delle nascite da genitori entrambi stranieri sul totale dei nati è notoriamente molto più elevata nelle regioni del Nord (21,2% nel Nord-est e 21,1% nel Nord-ovest) dove la presenza straniera è più stabile e radicata e, in misura minore, in quelle del Centro (17,4%); nel Mezzogiorno l’incidenza è molto inferiore rispetto al resto d’Italia (6,1% al Sud e 5,3% nelle Isole).

Nel 2019 è di cittadinanza straniera un nato su quattro in Emilia-Romagna (25%), il 22% dei nati in Lombardia, circa un nato su cinque in Veneto, Liguria, Toscana e Piemonte.

La percentuale di nati stranieri è decisamente più contenuta in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con l’eccezione
dell’Abruzzo (10%).

L’impatto dei comportamenti procreativi dei cittadini stranieri è più evidente se si estende l’analisi al complesso dei nati con almeno un genitore straniero, ottenuti sommando ai nati stranieri le nascite di bambini italiani nell’ambito di coppie miste.

La geografia è analoga a quella delle nascite da genitori entrambi stranieri ma con intensità più elevate: in media nel 2019 ha almeno un genitore straniero oltre il 30% dei nati al Nord e il 25,5% al Centro; al Sud e nelle Isole le percentuali scendono a 9,5% e 8,7%. Le regioni del Centro-nord in cui la percentuale di nati da almeno un genitore straniero è più elevata sono Emilia-Romagna (34,6%), Lombardia (31,3%), Liguria (29,7%), Veneto (29,9%) e Toscana (28,7%).

Considerando la cittadinanza delle madri, al primo posto si confermano i nati da rumene (15.630 nati nel 2019), seguono quelli da marocchine (11.078) e albanesi (8.425); queste cittadinanze coprono il 41,7% delle nascite da madri straniere residenti in Italia.

La propensione a formare una famiglia con figli tra concittadini (omogamia) è alta nelle comunità asiatiche e africane.

All’opposto, le donne polacche, russe, cubane e brasiliane hanno più frequentemente figli con partner italiani che con connazionali.

La fecondità delle cittadine italiane verso il minimo storico

Nel 2019 le donne residenti in Italia hanno in media 1,27 figli (1,29 nel 2018), accentuando la diminuzione in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,46.

Per trovare livelli di fecondità così bassi bisogna tornare indietro ai primi anni duemila. Tuttavia, in quegli anni la tendenza indicava un recupero dell’indicatore dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995, recupero attribuibile in larga misura al crescente contributo delle donne straniere.

Nel 2003, ad esempio, la fecondità delle straniere era pari a 2,52 figli per donna, rispetto al valore di 1,98 dell’anno più recente, in leggero aumento rispetto al 2018 (1,94).

Si conferma al Nord il primato dei livelli più elevati di fecondità riferito al totale delle residenti (1,30 nel Nord-ovest e 1,32 nel Nord-est), soprattutto nelle Province Autonome di Bolzano e Trento (rispettivamente 1,71 e 1,42), in Valle d’Aosta (1,31) e Lombardia (1,33).

Nel Mezzogiorno i livelli di fecondità restano stazionari rispetto all’anno precedente, attestandosi su 1,26 figli per donna, mentre al Centro il livello di fecondità è sceso da 1,23 a 1,19.

A livello regionale, la Sardegna continua a presentare il più basso livello di fecondità (1,00), ancora in diminuzione rispetto al 2018 (1,02).

Le differenze territoriali nella fecondità totale sono spiegate dal diverso contributo delle donne straniere: 2,1 al Nord, 1,78 al Centro e a 1,86 al Mezzogiorno.

La fecondità delle cittadine italiane è passata da 1,21 del 2018 a 1,18 nel 2019, scendendo per la prima volta sotto il minimo storico del 1995 che, seppur riferito al complesso della popolazione allora residente, risulta prossimo alla fecondità delle sole cittadine italiane, data la bassissima incidenza dei nati da donne straniere a metà degli anni Novanta.

Il numero medio di figli per donna delle italiane è in calo soprattutto al Centro (da 1,15 del 2018 a 1,11) e nel Nord (da 1,20 a 1,17), in misura più contenuta nel Mezzogiorno (da 1,24 a 1,23).

A detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,60) seguita dalla provincia di Trento (1,30). Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,12) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia e in Campania (1,30); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,97, ancora in diminuzione rispetto a 1,00 del 2018.

In media si diventa madri a 31,3 anni

L’evoluzione della fecondità di periodo è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle donne.

L’aumento del numero medio di figli per donna registrato tra il minimo del 1995 e il 2010 si è verificato nei territori interessati dal recupero delle nascite precedentemente rinviate da parte delle donne di cittadinanza italiana e dove la presenza straniera è più stabile e radicata (quindi più nati stranieri o con almeno un genitore straniero).

Ciò è accaduto, in particolare, nelle regioni del Nord e del Centro mentre nel Mezzogiorno è proseguito il fenomeno della denatalità a causa della posticipazione delle nascite, ancora in atto da parte delle cittadine italiane, non compensata dalla quota, modesta in questa area, di nascite di bambini con almeno un genitore straniero.

Il dispiegarsi degli effetti sociali della crisi economica ha agito direttamente sulla cadenza delle nascite.

Le donne residenti in Italia hanno accentuato il rinvio dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate; rispetto al 1995, l’età media al parto aumenta di oltre due anni, arrivando a 32,1 anni; in misura ancora più marcata cresce anche l’età media alla nascita del primo figlio, che si attesta a 31,3 anni nel 2019 (3,3 anni in più rispetto al 1995).

Le regioni del Centro sono quelle che presentano il calendario più posticipato (32,5 anni).

Le madri residenti nel Lazio hanno un’età media al parto pari a 32,6 anni, superate solo da quelle della Basilicata
e della Sardegna (con un valore di 32,8 anni entrambe).

Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995, del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2019 (italiane e totale residenti) si osserva uno spostamento della fecondità verso età sempre più mature.

Rispetto al 1995, i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni mentre continuano a diminuire tra le donne più giovani.

Questo fenomeno è ancora più accentuato considerando le sole cittadine italiane per le quali, confrontando la fecondità del 2019 con quella del 2010, il recupero della posticipazione si osserva solo a partire dai 40 anni.

Leonardo e Sofia i nomi preferiti dai neogenitori

Sulla base delle informazioni contenute nella rilevazione degli iscritti in anagrafe per nascita, l’Istat elabora la distribuzione dei nomi maschili e femminili più frequenti nel 2019.

A livello nazionale, il nome Leonardo mantiene il primato conquistato nel 2018, mentre Francesco, anche quest’anno si conferma al secondo posto.

In terza posizione, Lorenzo scalza Alessandro che scende al quarto posto.

Per quanto riguarda i nomi femminili rimane in prima posizione Sofia, ma si rileva uno scambio sul podio tra Aurora che sale al secondo posto dal terzo, quest’anno occupato da Giulia.

Nonostante ci siano oltre 27 mila nomi diversi per i bambini e quasi 26 mila per le bambine (includendo sia i nomi
semplici sia quelli composti), la distribuzione del numero di nati secondo il nome rivela un’elevata concentrazione intorno ai primi 30 in ordine di frequenza, che complessivamente coprono oltre il 44% di tutti i nomi attribuiti ai maschi e oltre il 38% di quelli delle femmine.

Sebbene la scelta del nome sia in parte legata alla cultura, alla religione (nomi di Santi, di Patroni) e alle tradizioni dei singoli ambiti territoriali, la concentrazione dei nomi è comunque molto forte.

Leonardo raggiunge il primato in tutte le 14 regioni del Centro-nord (a eccezione della provincia autonoma di Bolzano dove primeggia il nome Jonas) e, tra le regioni del Mezzogiorno, prevale in Abruzzo e in Sardegna. A livello regionale, il nome Francesco si posiziona al primo posto soltanto in 4 regioni italiane, tutte del Mezzogiorno (Molise, Puglia, Basilicata e Calabria).

Giuseppe e Antonio continuano a primeggiare stabili rispettivamente in Sicilia e in Campania.

Per le bambine, a eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano (dove primeggia il nome Emma), della Valle d’Aosta (in cui prevale Alice) e della Basilicata (dove primeggia Francesca), in tutte le realtà locali si ritrovano gli stessi tre nomi del podio nazionale. Sofia si conferma al primo posto in nove regioni del Centro-nord, ma anche in Abruzzo e in Sardegna. Aurora, salita al secondo posto in classifica rispetto allo scorso anno, primeggia in Friuli-Venezia Giulia al Nord e, nel Mezzogiorno, in Campania e Calabria.

Il nome Giulia, sceso al terzo posto a livello nazionale, resta come lo scorso anno in cima alla classifica nel Lazio, in Puglia e in Sicilia, primeggiando quest’anno anche in Molise”.